Si scrive estrattivismo si legge capitalismo

Marmo, termine derivante dal verbo greco marmairein che significa brillare, scintillare dal candore, dalla purezza e lucentezza della roccia in questione. Carrara e la popolazione carrarese o meglio carrarina, è legata a doppio filo a questa pietra naturale: il marmo. E questo legame ha connotato profondamente l’identità della città e la storia della sua comunità fonte di plurisecolari tensioni sociali; segno distintivo, a livello internazionale, della città alla quale spesso viene aggiunto l’appellativo “dei marmi”. Difficile inoltre trovare un altro luogo così strettamente soggetto, per la stessa natura del bene marmo, nelle sue vicende economiche alle dinamiche internazionali. La contrazione della domanda sui mercati mondiali o ancora, il mutamento del gusto, delle mode e delle sensibilità estetiche sono stati nel tempo aspetti decisivi per l’avvicendarsi delle fortune o delle sfortune di tutto un territorio che ha così conosciuto a fasi alterne momenti di straordinaria e rapida ricchezza e di altrettanta marcata povertà. Oggi con la filiera produttiva della lavorazione del marmo in loco oramai marginale, con il numero degli addetti nel settore ridotti a una minoranza della popolazione attiva, ma con comunque fatturati e volumi di escavato da capogiro nelle mani di pochi, appare lecito domandarsi quanto sia ancora reale questo legame identitario culturale e sociale, oppure bisogna prendere atto che si sia esaurito un ciclo storico?

Perché non si può negare la storia, si farebbe un torto all’intelligenza, nel tentativo di perorare la causa contro le cave di marmo, distorcere a proprio piacimento la realtà storica. Nel bene e nel male la storia della città è legata alle cave e all’estrazione del marmo. Dal 177 avanti Cristo sconfitti i liguri apuani ,fu fondata la città di Luna dai romani, per sfruttare i bacini marmiferi. Le prime cave delle quali si hanno notizie sembrano risalire al primo anno avanti Cristo ed attorno ad esse cominciò un progressivo popolamento della valle del Carrione. Con l’età imperiale si raggiunse l’apice probabilmente della valorizzazione e diffusione dei marmi lunensi, per poi in età medievale fermarsi totalmente. Dal 1400 riprende l’attività per commesse di cantieri ecclesiastici o privati delle varie città toscane o genovesi. In tutto questo tempo sostanzialmente le tecniche di estrazione dai romani al 1570 rimasero immutate. Il primo grande cambiamento è legato appunto al 1570 dove per la prima volta fu usata la polvere pirica per le mine. L’avvenimento fu giudicato talmente memorabile che fu coniata una moneta celebrativa avente su una faccia l immagine di un barile di polvere pirica. Questo sistema che se da un lato rendeva più veloce l’escavazione dall’altro frantumata spesso il marmo da scavarsi ed apriva nel monte fenditure e rotture dannose. Aumentò in modo esponenziale la quantità dei detriti e l’effetto dirompente si trasmise sulla morfologia dell’ambiente, modificando profondamente il paesaggio dei bacini. Altro momento innovatore di radicale cambiamento nell’escavazione fu quattro secoli dopo nel 1895, quando con l’utilizzo del filo elicoidale si passò ad una escavazione industrializzata dando il via ad una serie di innovazioni tecnologiche come le corone diamantate, le pulegge penetranti e i martelli pneumatici. Si passò dalle secolari carriole di legno per scaricare il materiale a carrelli che viaggiavano su piccole ferrovie. Altra tecnologia capace di produrre un cambiamento radicale nella lavorazione delle cave è stato sicuramente la sostituzione del filo elicoidale con il filo diamantato verso la fine degli anni 60 del novecento il quale portò una velocizzazione del lavoro al monte notevolissima coadiuvata dall’utilizzo sempre più diffuso di macchine operatrici come escavatori e pale meccaniche sempre più grosse e potenti. Oggi la tecnologia è entrata in cava con strumenti che hanno in larga parte integrato e sostituito il lavoro dell’uomo, ed un incessante processo di aggiornamento tecnologico contribuisce sempre di più a consolidare questa tendenza. Quindi l’uomo appendice della macchina in continua corsa verso il traguardo dell’iperproduzione, anziché la macchina in aiuto e sostegno delle fatiche umane. Perché se prima il lavoro del cavatore era caratterizzato da una fatica e da un logorio fisico indicibile tutt’oggi altre fatiche e ritmi stressanti, dovuti alla velocità di un escavazione in un ambiente naturale, ma adottando un approccio industriale stile catena di montaggio, affliggono il lavoratore. Tutto questo excursus storico e storico tecnico, che spero non vi abbia annoiato, è per avvalorare e rendere innegabile il connubio marmo, città di Carrara e sua economia, a meno che secoli di storia non vengano tenuti in considerazione. Viceversa non dobbiamo tendere ad idealizzare e mitizzare la figura del cavatore, capace si nel corso della storia di conquiste sociali ottenute tramite lotte e rivendicazioni epocali, ma da contestualizzare nei vari periodi storici. Oggi la fatica del cavatore c’è sempre, sfruttato come altri lavoratori che devono soverchiarsi la fatica fisica e le intemperie, ma la sua conflittualità è proporzionale alla poca capacità di lotta espressa in questo periodo storico. Il dislocamento in tante cave in esigui gruppi di lavoratori, dividendoli non facilita la presa di coscienza degli stessi, divisi quindi nello spazio, ma spesso anche nei salari. La grande penuria di lavoro nel comprensorio apuano sicuramente non aiuta, anzi, lo spauracchio della disoccupazione che aleggia costantemente sulle spalle dei lavoratori, fa si che il coraggio e la tenacia dimostrata in cava si affievolisca nelle rivendicazioni e nelle lotte. Non da ultime le contrapposizioni con movimenti ambientalisti che spesso reputano i lavoratori corresponsabili dello sfruttamento delle montagne, dimenticando che per i cavatori il marmo è pane, mentre per gli industriali il marmo è caviale e champagne. Sicuramente l’estrazione incontrollata, come da sempre avviene nelle logiche capitalistiche, non è più giustificabile per l’ambiente, per i lavoratori, per la città tutta, trattandosi di un bene, è giusto ricordarlo, di lusso, voluttuario ed esauribile. Un bene di tutti, nelle mani di pochi che ha caratterizzato nel tempo la città e forgiato il carattere della sua gente.

Questo animo di ribellione e di avversione verso i soprusi riaffiorerà, anche questo dice la storia!

Manù

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